Ruben è un osservatorio privilegiato per indagare la “zona grigia” del disagio, tra sofferenza urbana e nuove povertà, in quanto offre lo spaccato di un tempo/spazio dedicato ad un intervento che accoglie le persone e le loro storie di vita. Ogni giorno incontriamo singoli e famiglie, uomini, donne e bambini; insieme con loro condividiamo il momento della cena, attorno ad un tavolo. Incontriamo i loro bisogni, accogliamo la loro fragilità, ascoltiamo le loro storie; ma costruiamo anche, insieme, nuove possibilità per nuovi progetti di vita, intrecciamo nuove relazioni, rinsaldiamo legami perduti, rimettiamo in moto potenzialità e risorse che si pensavano perdute. Ruben ci offre un patrimonio di relazioni e conoscenze; attraverso l’incontro con i nostri commensali, grazie all’attività quotidiana di supporto e accompagnamento, acquisiamo esperienza e nuove chiavi di lettura per comprendere meglio il fenomeno delle nuove povertà e provare ad immaginare e a progettare nuove e più efficaci risposte. Sentiamo forte la responsabilità di provare ad indagare in profondità e con un approccio scientifico, al fianco delle Università e degli
altri enti di ricerca, un fenomeno che prende forma dentro storie di vita che, pur nella loro specificità, ci interrogano e parlano ad ognuno di noi. Capitalizzare la nostra esperienza e il nostro impegno nel contrasto delle nuove povertà, significa individuare in modo precoce le cause che hanno determinato la condizione di disagio economico e sociale da un lato, e le condizioni che possono determinare i percorsi di ingravescenza e cronicità da un lato e di fuoriuscita e ripartenza dall’altro. La ricerca affonda le sue radici nella pedagogia sociale, che, attenta ai nessi tra educazione e società, interroga la contemporaneità nei suoi portati formativi, anche in relazione al disagio e al benessere, indagando i margini di possibilità e di rischio e le inedite sfide nella formazione di uomini e donne, svelando i nessi tra le biografie (più o meno a rischio) e i contesti sociali e culturali che esprimono tutta la loro formatività negli attuali contesti territoriali. Assumendo lo sguardo pedagogico come chiave di lettura, anche la condizione di povertà può essere indagata come esperienza educativa: a cui si è educati, da cui si è educati. Questo significa anche poter leggere tutti quei comportamenti
e quegli atteggiamenti che i soggetti mettono in atto per far fronte, o meno, a una situazione difficile come frutto di apprendimenti: ad una posizione di rassegnazione, quanto di rivendicazione, quanto di dipendenza si è, nel corso della propria vita, educati. Lo sguardo pedagogico permette dunque di interrogare la condizione delle nuove povertà come esperienza essa stessa formativa, frutto della complessità del percorso di formazione del soggetto, all’incrocio tra dimensioni prettamente singolari e private e aspetti sociali e culturali, aprendo alla possibilità di un’attenzione educativa che accompagni i singoli a significare e ricollocare l’esperienza della povertà nella propria dimensione esistenziale e formativa e insieme nel contesto sociale, culturale, territoriale che essi abitano. La domanda di ricerca è volta ad esplorare le dimensioni educative e formative di queste nuove povertà. Più nello specifico si intendono indagare: • le traiettorie formative che conducono a “scivolare” verso condizioni di disagio,
vulnerabilità, povertà, con attenzione ai percorsi di vita e alle svolte, ai momenti apicali che hanno segnato un abbassamento della qualità della vita
• i fattori di rischio e di protezione nelle storie di vita e di formazione dei partecipanti
• l’educazione alla e della povertà: quali apprendimenti genera e da quali apprendimenti è generata l’esperienza di povertà, come i soggetti attraversano e rielaborano la propria condizione
con attenzione alla molteplicità di esperienze educative anche informali e non intenzionali.