Nuove forme di povertà

Ci occupiamo di contrasto alle “nuove forme di povertà” attraverso la promozione di percorsi di fuoriuscita dallo stato di bisogno, abbiamo deciso cinque anni fa di non occuparci degli “ultimi”, scelta che può sembrare impopolare essendo l’area più soggetta ad interventi di sostegno pubblico e privato, che abbiamo fatto a fronte di un’analisi del bisogno e una mappatura delle risposte e delle risorse presenti, che ci hanno mostrato come occuparci dei “penultimi” fosse una sfida necessaria da raccogliere.

Quando parliamo di “penultimi” ci riferiamo a una categoria di persone portatrici di un bisogno socialmente compatibile, che non sono cosi in difficoltà da essere soggetti di interventi specifici, ma neanche possono farne a meno.

Un vero e proprio limbo, sempre più ampio, dove il sostegno spesso arriva dalle reti informali, dalle reti amicali e/o famigliari quando sono presenti o da iniziative a carattere assistenziale.

Ci occupiamo dei penultimi, di singoli e famiglie cercando di rendere “visibile e riconoscibile” il loro bisogno, in primo luogo proprio a loro che ne sono portatori. E’ un lavoro complesso e articolato che prende forma a Ruben nell’accoglienza di storie di vita, ognuna diversa dall’altra, accomunate solo dal fatto che stanno attraversando un momento di difficoltà economica (più o meno importante) e che questa, per loro, è un’esperienza nuova.

Le nuove forme di povertà si definiscono “nuove” non solo per le loro caratteristiche differenti dai processi di impoverimento che siamo abituati a riconoscere, ma anche perché sono “nuove” come esperienza per chi ne è coinvolto. E’ proprio questa novità, inaspettata appunto, che irrompe in storie di vita “normali” e genera in poco tempo uno stato emotivo caratterizzato da sentimenti di impotenza e disillusione nei confronti del possibile “riscatto”. La quasi totalità dei nostri commensali quando accede a Ruben si trova in questa condizione per lo più momentanea di fragilità economica e sociale che, pur essendo recente o temporanea, si accompagna spesso ad uno stato emotivo e psichico caratterizzati da una grande fragilità.

I sentimenti che accompagnano più frequentemente le persone che incontriamo sono infatti sentimenti di vergogna per una situazione di cui si sentono responsabili e il senso di colpa per averla causata o non prevenuta.

L’immagine che descrive meglio questo stato d’animo è quella dello “spaesamento” e del “disorientamento”, le persone non sono infatti abituate a chiedere aiuto, non ne hanno mai avuto bisogno, faticano a portare quella domanda di aiuto di cui si vergognano profondamente e soprattutto non sanno dove collocarla.

Molto difficilmente si rivolgono al Servizio Sociale Comunale, luogo deputato alla presa in carico dove troverebbero un’Assistente Sociale a raccogliere la loro storia di difficoltà, in quanto è un luogo che le persone da un lato non conoscono e dall’altro lo percepiscono ancora legato ad alcuni stereotipi che lo descrivono come luogo valutativo, giudicante e che può prendere in merito alla loro famiglia decisioni, soprattutto sui minorenni, anche importanti.

Ecco che nelle persone prende forma quel sentimento di spaesamento e disorientamento di cui sopra, originato da un deficit di informazione sulle risorse che una città come Milano offre attraverso i suoi servizi pubblici, del privato sociale e della società civile, ma anche un deficit di informazione sulle forme di sostegno previste e a cui si ha diritto come cittadini nel momento in cui si attraversa uno stato di indigenza.

L’esito di questo evento inaspettato e di quello che genera è l’avvio di un inesorabile processo di isolamento sociale, caratterizzato da un lento ritiro dai legami sociali che fino a poco prima avevano caratterizzato la qualità della tua vita di persone e famiglie.

Ci occupiamo di contrasto alle “nuove forme di povertà” attraverso la promozione di percorsi di fuoriuscita dallo stato di bisogno, abbiamo deciso cinque anni fa di non occuparci degli “ultimi”, scelta che può sembrare impopolare essendo l’area più soggetta ad interventi di sostegno pubblico e privato, che abbiamo fatto a fronte di un’analisi del bisogno e una mappatura delle risposte e delle risorse presenti, che ci hanno mostrato come occuparci dei “penultimi” fosse una sfida necessaria da raccogliere.

Quando parliamo di “penultimi” ci riferiamo a una categoria di persone portatrici di un bisogno socialmente compatibile, che non sono cosi in difficoltà da essere soggetti di interventi specifici, ma neanche possono farne a meno.

Un vero e proprio limbo, sempre più ampio, dove il sostegno spesso arriva dalle reti informali, dalle reti amicali e/o famigliari quando sono presenti o da iniziative a carattere assistenziale.

Ci occupiamo dei penultimi, di singoli e famiglie cercando di rendere “visibile e riconoscibile” il loro bisogno, in primo luogo proprio a loro che ne sono portatori. E’ un lavoro complesso e articolato che prende forma a Ruben nell’accoglienza di storie di vita, ognuna diversa dall’altra, accomunate solo dal fatto che stanno attraversando un momento di difficoltà economica (più o meno importante) e che questa, per loro, è un’esperienza nuova.

Le nuove forme di povertà si definiscono “nuove” non solo per le loro caratteristiche differenti dai processi di impoverimento che siamo abituati a riconoscere, ma anche perché sono “nuove” come esperienza per chi ne è coinvolto. E’ proprio questa novità, inaspettata appunto, che irrompe in storie di vita “normali” e genera in poco tempo uno stato emotivo caratterizzato da sentimenti di impotenza e disillusione nei confronti del possibile “riscatto”. La quasi totalità dei nostri commensali quando accede a Ruben si trova in questa condizione per lo più momentanea di fragilità economica e sociale che, pur essendo recente o temporanea, si accompagna spesso ad uno stato emotivo e psichico caratterizzati da una grande fragilità.

I sentimenti che accompagnano più frequentemente le persone che incontriamo sono infatti sentimenti di vergogna per una situazione di cui si sentono responsabili e il senso di colpa per averla causata o non prevenuta.

L’immagine che descrive meglio questo stato d’animo è quella dello “spaesamento” e del “disorientamento”, le persone non sono infatti abituate a chiedere aiuto, non ne hanno mai avuto bisogno, faticano a portare quella domanda di aiuto di cui si vergognano profondamente e soprattutto non sanno dove collocarla.

Molto difficilmente si rivolgono al Servizio Sociale Comunale, luogo deputato alla presa in carico dove troverebbero un’Assistente Sociale a raccogliere la loro storia di difficoltà, in quanto è un luogo che le persone da un lato non conoscono e dall’altro lo percepiscono ancora legato ad alcuni stereotipi che lo descrivono come luogo valutativo, giudicante e che può prendere in merito alla loro famiglia decisioni, soprattutto sui minorenni, anche importanti.

Ecco che nelle persone prende forma quel sentimento di spaesamento e disorientamento di cui sopra, originato da un deficit di informazione sulle risorse che una città come Milano offre attraverso i suoi servizi pubblici, del privato sociale e della società civile, ma anche un deficit di informazione sulle forme di sostegno previste e a cui si ha diritto come cittadini nel momento in cui si attraversa uno stato di indigenza.

L’esito di questo evento inaspettato e di quello che genera è l’avvio di un inesorabile processo di isolamento sociale, caratterizzato da un lento ritiro dai legami sociali che fino a poco prima avevano caratterizzato la qualità della tua vita di persone e famiglie.